martedì 3 luglio 2012

DI COME IL BAMBINO, DIVENUTO ADULTO, DISTRUSSE IL MONDO CON UN SOLO BOTTONE


I

DELL'INFANZIA DEL BAMBINO E DEL BOTTONE.



Il bimbo senza patria, senza nome, senza storia, giocava un giorno per la strada, mischiando i sassi ai fegati e ai cuori degli altri bambini, e questi cuori e questi fegati, per la loro durezza, si confondevano con le pietre.
I cuori dei bambini si erano inariditi per la polvere che per gioco mangiavano per strada.
I loro cuori si erano talmente seccati da farli morire tutti.
Ma il nostro bimbo, innocente, incosciente, giocava con i loro corpi come bambole, e mischiava, e mischiava quei cuori duri con le pietre fino a perderli.
Fu così che giocando e mischiando i sassi, i cuori e i fegati seccati, un giorno il bimbo trovò fra le pietre un bottone, che si era scucito dal bel vestitino di una bella bambina uccisa dalla polvere.
Il bottone brillava fra le pietre, rifletteva il sole che lo colpiva dall'alto del suo mezzogiorno con i suoi ghirigori, finemente riprodotti dal bottone, che fra la polvere sembrava anch'esso un piccolo sole sulla nuda terra arsa.
Il bimbo allora guardò con occhi pieni quel bottone, quella piccola luce nella desolazione della polvere.
Il bimbo prese in mano quel bottone, lo toccò, pieno di curiosità, e mistico stupore, e rispetto, e lussuria.
Il bimbo continuò a rimirare quel prezioso bottino fino al tramonto, e poi fino all'alba, immobile, lì dove lo aveva trovato.
Trascorse la notte pieno di avidità e di gelosia per quell'oggetto così splendido ed insignificante.
Decise di non mischiare mai il bottone ai piccoli cuori duri, ai fegati bruciati e ai sassi.
Stimò che il valore di quell'oggetto fosse inestimabile e lo ripose nel posto più sicuro che gli venne in mente, nella tasca dei pantaloncini sporchi e sgualciti che indossava e che crescevano con lui.
Il tempo passava inesorabile, il giorno e la notte, le lente stagioni, e poi gli anni, lasciando ogni cosa immutata.
Il bimbo continuava a mischiare cuori, fegati e pietre, i bambini continuavano a morire mangiando la polvere e il piccolo bottone invecchiava nei pantaloncini sporchi e sgualciti.
Il bimbo non conosceva la compagnia e non sentiva la solitudine.
La sua paura più grande era che la polvere inaridisse anche lo splendore di quel piccolo bottone.
Tanto era grande la sua paura che rinunciò a guardarlo per non tirarlo fuori dalla tasta, a favore di una più appagante sensazione, data dall'idea dell'eternità di quel piccolo oggetto tondo e dalla consapevolezza del possesso che su di esso esercitava.


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